Dopo sei morti e probabilmente centinaia di feriti nell’arco di pochi giorni a Trieste il 7 novembre 1953 tutte le parti cercano di evitare nuovi scontri.
Già dal giorno precedente il vescovo Santin, il rappresentante del governo italiano de Castro e lo stesso sindaco Bartoli hanno invitato a evitare nuove violenze.
Anche il GMA fa la sua parte, assegnando ai soldati americani i compiti della Polizia civile, i cui agenti, spesso demoralizzati e in certi casi dimissionari, vengono invece consegnati nelle loro caserme.
Il giorno successivo, domenica 8 novembre, è il giorno dei funerali solenni delle vittime, che si svolgono nella cattedrale di San Giusto, tappezzata di corone di fiori dei cittadini e dalle istituzioni di tutta Italia, prima fra tutte la corona del presidente della Repubblica Luigi Einaudi. La funzione è officiata dal vescovo Santin, che invita alla pace e si pone poi alla testa di un corteo di almeno centomila persone che accompagna le sei bare da San Giusto al cimitero di Sant’Anna. In testa al corteo, assieme a Santin, sfilano il sindaco Bartoli e i rappresentanti di tutti i partiti politici della Zona A, comunisti cominformisti compresi, oltre ai gonfaloni di numerose città italiane.
Devono rinunciare alla presenza i ministri del governo di Roma ed altre personalità della Repubblica Italiana (dove le bandiere sono esposte a mezz’asta), primo fra tutti Pella, cui Winterton ha negato il permesso di partecipare ai funerali.
D’altronde sono opportunamente assenti anche i rappresentanti del GMA, e la corona di fiori inviata dal generale Winterton viene fatta sparire, nonostante il desiderio di de Castro di farla sfilare in corteo dietro a quella inviata da Pella.
Il servizio d’ordine è gestito dalla polizia amministrativa e dai nuclei di difesa delle forze politiche, comunisti cominformisti compresi. La Polizia civile invece se ne rimane chiusa in caserma, dove il generale Winterton prova a rincuorare gli agenti.