Lo schieramento di truppe italiane al confine porta la Jugoslavia a fare altrettanto, ed il 6 settembre è lo stesso Tito, in occasione di un discorso tenuto a Sambasso (Okroglica), a pochi chilometri da Gorizia, a dichiarare che la Jugoslavia non ammette concessioni in Zona B ma rivendica tutta la Zona A con l’eccezione della città di Trieste, che anziché essere resa all’Italia dovrebbe divenire una città internazionalizzata.
Il 13 settembre, in occasione della commemorazione della difesa di Roma dai nazisti in Campidoglio, Pella reagisce con un discorso in cui chiede che le sorti del TLT vengano decise dalla sua popolazione tramite un plebiscito.
Il governo italiano si è però convinto che il tempo lavora a danno dell’Italia, e che quindi è urgente recuperare il controllo di Trieste, anche sacrificando le rivendicazioni sulla Zona B: a Roma si teme infatti per le sorti della stessa Trieste in caso di un suo prolungato distacco dall’Italia.
Un possibile modello nella mente del governo italiano è l’Alto Adige, dove, come ricorda il segretario generale del Ministero degli Affari Esteri, Vittorio Zoppi, la città di Bolzano è diventata a maggioranza italiana solo sette anni dopo l’annessione all’Italia, ma le campagne sono rimaste tedesche.
Anche la Zona B, priva di grandi città, nonostante quasi dieci anni di occupazione jugoslava è rimasta a maggioranza italiana, quantomeno nella fascia costiera. Ma cosa succederebbe a Trieste, qualora continuasse il suo distacco dall’Italia? Prevederlo è impossibile, ma la crescita degli indipendentisti è sicuramente un rischio.
Per il governo italiano bisogna dunque fare presto, e assicurare il ritorno di Trieste all’Italia. Pella fa riservatamente sapere a britannici ed americani che il governo di Roma è disposto ad accettare la spartizione del TLT fra Italia e Jugoslavia lungo la linea Morgan, purché come soluzione “de facto” e non come annessione ufficiale, in modo da renderla presentabile all’opinione pubblica italiana.