Le elezioni italiane del giugno 1953 vedono la sconfitta della coalizione centrista a guida democristiana, che per pochi voti non riesce a raggiungere il 50% più uno dei voti totali con il quale sarebbe scattato un premio di maggioranza. Per De Gasperi si tratta di una cocente sconfitta anche personale, resa ancor più evidente dal fatto che il Parlamento non vota la fiducia ad un nuovo governo dello statista trentino che aveva guidato l’Italia nei difficili anni del dopoguerra.
A succedere a De Gasperi nella carica di presidente del Consiglio dei Ministri viene chiamato Giuseppe Pella, che guida un governo monocolore democristiano che si regge sull’appoggio esterno di liberali, monarchici e repubblicani, e sull’astensione di socialdemocratici e missini.
È dunque un governo debole, il cui obiettivo teorico, come chiarito dal presidente della Repubblica Luigi Einaudi e dallo stesso Pella, dovrebbe essere solo quello di sbrigare gli affari correnti ed approvare la legge di bilancio.
La debolezza politica del governo italiano si riflette immancabilmente anche sul piano politico internazionale, con la forte riduzione del peso negoziale dell’Italia. Ciò vale, ovviamente, anche per la questione di Trieste, rispetto alla quale la posizione italiana sembra indebolirsi ogni giorno di più, nonostante Pella nel suo discorso d’insediamento abbia ribadito l’attaccamento del governo italiano alla “Nota Tripartita”.
Ne approfitta il governo jugoslavo, che consolida la sua presa sulla Zona B ed alza il tiro delle rivendicazioni sulla Zona A, come simboleggiato dalla visita del vice-ministro jugoslavo agli Affari Esteri (lo sloveno Aleš Bebler) alla Fiera di Trieste.
In particolare, gli jugoslavi non sono disposti a nessuna concessione nella Zona B, e desiderano realizzare nella Zona A una “Novi Trst”, cioè una Nuova Trieste slovena, collegata alla Jugoslavia, proprio dentro il porto di Trieste, dove oggi sorge la zona industriale della città.