A fare le spese della crisi sono in primo luogo gli italiani ancora residenti in Istria e nel Quarnaro.La località dove si verificano gli episodi più gravi è Fiume. Così come a Belgrado e a Zagabria, infatti, anche a Fiume l’8 ottobre 1953 si tengono grandi manifestazioni contro la “Nota Bipartita”. A Fiume, a differenza della capitale serba o di quella croata, i manifestanti jugoslavi non hanno alcuna sede diplomatica o consolare contro cui scagliarsi, ma tale assenza è più che compensata dalla presenza di una comunità italiana autoctona, formata dalle poche migliaia di fiumani che non hanno preso la via dell’esodo, mentre vige ancora il bilinguismo. I manifestanti danneggiano il circolo culturale italiano e molte scritte bilingui.
Le autorità, difficilmente estranee alle manifestazioni, vanno però ancora oltre, sancendo la fine del bilinguismo e obbligando privati e aziende di tutta la città ad eliminare tutte le scritte in italiano, lingua che in quei giorni nessuno osa più parlare per paura di ritorsioni, neppure i dirigenti comunisti che avrebbero dovuto rappresentare la minoranza italiana.
Sparisce dai cartelli anche la scritta “Fiume” e il nome ufficiale della città rimane da quel momento solamente “Rijeka”.
Per quanto riguarda l’Istria, qui il trattamento riservato agli italiani era già stato inasprito sin dai giorni seguenti al discorso di Tito ad Okroglica.
Dopo la “Nota Bipartita”, però, si verifica una vera e propria ondata di persecuzioni. In tutta l’Istria, compresa la Zona B, dove vivono ancora decine di migliaia di italiani, si assiste alla chiusura di scuole con lingua d’insegnamento italiana e al danneggiamento e talvolta alla chiusura dei circoli culturali italiani.
Contemporaneamente, il bilinguismo e i diritti degli italiani vengono fortemente limitati, quando non totalmente eliminati. Molti istriani decidono dunque di esodare e trovare rifugio a Trieste.