Il 1° giugno del 1954 il progetto di accordo figlio della prima fase negoziale tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Jugoslavia viene comunicato all’ambasciatore d’Italia a Londra, Manlio Brosio, che non esita a definirlo come “piuttosto indecente”.
Il governo italiano, infatti, non esita a protestare per la bozza di accordo strappata a Londra da Stati Uniti e Gran Bretagna: le rettifiche territoriali vanno a tutto vantaggio della Jugoslavia, che si vedrebbe trasferito un territorio del Comune di Muggia in cui abitano circa 3.000 persone e comprendente Punta Sottile, da cui la Jugoslavia – e le sue forze armate, in particolar modo l’artiglieria – potrebbero affacciarsi direttamente sul porto di Trieste.
Le garanzie alleate sulla definitività annullano qualsiasi speranza di recupero delle cittadine italiane della Zona B, mentre la provvisorietà della soluzione risulta solo apparente. Con la trasformazione di Capodistria in una “Nuova Trieste”, poi, la Trieste originale, già destinata ad un futuro economico incerto a causa del confine che la circonda e della cortina di ferro, subirebbe la concorrenza di un nuovo porto collegato con l’Europa centrale e danubiana a sole poche miglia di distanza.
Anche per quanto riguarda le minoranze, infine, è evidente come i vantaggi per la minoranza slovena sarebbero maggiori che per quella italiana, per la quale non è prevista la creazione di alcuna banca o istituto culturale.
La proposta ricevuta dagli alleati divide peraltro i responsabili della politica estera italiana: i politici protestano animosamente con l’ambasciatrice americana a Roma Clare Boothe Luce, arrivando a minacciare di porre il veto italiano a un’ulteriore integrazione occidentale, mentre i tecnici sono più cauti perché ritengono la posizione italiana già compromessa.
Su suggerimento di questi ultimi l’Italia chiede agli anglo-americani di riaprire il negoziato con la Jugoslavia, in modo tale da garantire una soluzione più soddisfacente per l’Italia dal punto di vista territoriale, l’esplicita esclusione della definitività dell’accordo e, nel contempo, l’esplicita reciprocità nelle clausole non territoriali, quali ad esempio quelle relative alle minoranze.